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Il serial americano Sex and the City racconta le avventure minime di quattro donne single a New York, un contesto profondamente segnato dalla globalizzazione in cui i modelli esistenziali vincenti sono orientati verso la complessità, l'ibridizzazione, il cosmopolitismo. La città di New York, e soprattutto il suo epicentro, l'isola di Manhattan, si presentano come estremo avamposto della tarda modernità: sono territori aperti al possibile, al cambiamento, al divenire. Nello stesso tempo però sono spazi delimitati da confini che li separano da tutto ciò che li circonda e sono percepiti dai protagonisti come gli unici luoghi in cui è possibile e auspicabile vivere: al di fuori di essi regnano estraneità, non senso, smarrimento. Il volume si interroga sull'ambivalenza tra una concezione del mondo che si nutre della liquidità e del mutamento e l'esigenza di abitare in uno spazio circoscritto che orgogliosamente rivendica la sua diversità. Per focalizzare questa apparente antinomia si sono utilizzate alcune riflessioni sullo statuto esistenziale dei "primitivi" che è stato messo a confronto con le modalità di vita degli abitanti di Manhattan rappresentate in Sex and the City. Nella lettura del serial si è rintracciata una visione del mondo in cui sono compresenti il fascino dell'ignoto che apre a mille potenzialità esperienziali e il fascino del confine che sottrae ciò che è incerto alla sua incertezza e alla sua precarietà.